Con “Pastorale americana” Philip Roth vinse il Premio
Pulitzer per la narrativa 1998. E’ un romanzo sull’American Way of Life, un’allegoria
politica, la
storia di una famiglia americana tra gli anni 60’ e l’inizio
degli anni ’90: una famiglia che parte con tutte le premesse per essere una normale e felice famiglia americana e che a un certo
punto esplode.
“Lo Svedese”, come è soprannominato Seymour Levov, il personaggio
principale della storia, vede crollare il suoi valori e il suo mondo “perfetto”
quando l’adorata figlia Merry diventa terrorista. “Pastorale americana” è un libro di quasi 500
pagine. Ma in fondo c’è un unico vero evento: LA BOMBA. Il resto sono pensieri,
ricordi dolorosi, una minuziosa analisi interiore di
questo disastroso crollo familiare, un pezzo di intonaco per volta, un mattone
dopo l’altro. In un certo senso è anche il crollo del sogno americano.
Il libro finisce con un Open end, con l’ultima frase che
domanda:
“Ma cos’ha la loro vita che non va? Cosa c’è di meno riprovevole della vita dei Levov?"
“Ma cos’ha la loro vita che non va? Cosa c’è di meno riprovevole della vita dei Levov?"
La maggior parte dei presenti al
nostro incontro di fine ottobre ha apprezzato la straordinaria intensità nella
scrittura di questo libro, e l’argomento ci ha fatto pensare, riflettere e
discutere molto. Ma tra i giudizi più espressi si sentiva anche: “lettura
pesante”, “libro troppo lungo”, “poco digeribile”. Peccato, forse bisognerebbe
rileggerlo una seconda volta, la ri-lettura spesso fa emergere aspetti e
concetti che in un primo momento non vengono subito capiti. E forse bisogna
essere proprio americano, e anche americano di una certa generazione, per
capire fino in fondo il momento storico (ribellioni anti-capitaliste, guerra in
Vietnam, lotta per i diritti civili) che Philip Roth ci racconta in questo
romanzo.
Prossimo incontro del GDL a fine
novembre, parleremo di “Chiamami col tuo nome” di André Aciman.
(Helga, membro del
GDL “CoLibri”)
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