lunedì 23 dicembre 2013

Incontro del 27.11.2013 - Cuccette per signora

Con l'incontro del 27 novembre è iniziato il nostro ciclo sulla letteratura indiana. Tuttavia il libro della serata, Cuccette per signora di Anita Nair, è apparso a tutti poco indicato a soddisfare la curiosità sugli usi e costumi indiani. Molti si sono lamentati del fatto che non hanno trovato l'India in questo romanzo, che è troppo europeo e che le vicende raccontate potevano essere accadute ovunque.
Il viaggio di cui sui parla nel libro è solo un pretesto, è in realtà la storia di una presa di coscienza, un percorso metaforico che la protagonista intraprende per capire se stessa.
Le vicende raccontante dalle persone che la protagonista incontra durante il suo viaggio in treno sono storie che vedono la donna in posizione di inferiorità e sottomissione, quindi forse voleva essere anche un po' un libro di denuncia, ma rimane comunque una denuncia lieve, la trama non è accattivante e non è uno di quei libri che vien voglia di rileggere.

Noi ci siamo trovati anche il 18 dicembre per la consueta pizza natalizia con scambio di auguri. A dicembre non ci sarà alcun incontro, ci rivediamo l'ultimo mercoledì di gennaio. Speriamo che il libro di cui si parlerà, "L'interprete dei malanni", sia più "indiano".

Buone feste a tutti.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La società indiana che la Nair vuole rappresentare, tradizionalista e conservatrice, esplica pesanti condizionamenti sull’identità femminile: dipendenza dalla famiglia, impossibilità di autodeterminazione, soggezione alle figure maschili sono la regola per le protagoniste di questo romanzo.

I racconti delle sei donne (tenuti assieme da un pretesto fragilissimo, un viaggio in treno nella medesima cuccetta ferroviaria) si dipanano in modo parallelo senza mai incrociarsi; i fatti narrati sono così slegati che l’opera avrebbe tratto vantaggio – e si sarebbe forse presentata in modo più onesto – se fosse stata impostata come raccolta di racconti del tutto autonomi.

L’autrice ci prospetta questo gruppo di viaggiatrici che, senza timori o reticenze, si raccontano fin nei più intimi dettagli le vicende, talvolta scabrose, della loro esistenza.

Stupisce, innanzitutto, che si dia per scontata la confidenza tra donne accordata in modo così immediato e incondizionato. È più facile che questo tipo di complicità istintiva scatti tra uomini che tra rappresentanti del sesso femminile: antagonismo e diffidenza non mancano nei gruppi di soli maschi, ma in quelli di sole donne sono più spiccati e marcanti.

La narrazione risulta un po’ artefatta e forzata e lo svolgersi degli eventi, sempre a lieto fine, presenta contraddizioni in termini di tenuta logica e di tratteggio psicologico. Sono ingenuità (o furberie?) che si avvertono in particolar modo nella vicenda della moglie che ingozza il marito perché ingrassi fino ad aver bisogno di un ricovero in una clinica specializzata; la donna afferma di sapere che l’obesità gli fa regolarmente perdere mordente e cattiveria, gli ammannisce quindi, in modo subdolo e continuativo, abbondanti porzioni di cibo che ha cura di preparare personalmente. Sembra che il metodo dell’ingrasso funzioni: l’uomo, aumentando di peso, perde la sua tracotanza e si trasforma in un pingue borghese inoffensivo.

Anche la storia della donna che, dopo una sola settimana di bagni all’aperto, supera tutte le sue inibizioni e, riconciliatasi con il proprio corpo, riscopre improvvisamente i piaceri del sesso, è veramente troppo ottimista, anche a voler accordar credito alle propagandate proprietà terapeutiche del nuoto.

La narrazione delle vicende di Akila, quarantacinquenne sfruttata dalla famiglia che coraggiosamente decide dopo anni di sacrifici di cambiare vita, sembra essere più equilibrata e strutturata rispetto a quella delle altre donne. A poche pagine della fine del romanzo, però, terminato il suo viaggio in treno, la donna si concede una spensierata avventura sessuale occasionale. Quello che l’autrice non ci spiega è come possano tutti i condizionamenti accumulati durante un’esistenza di educazione repressiva improvvisamente allentarsi e lasciare spazio a tanta disinibita libertà d’azione.

Fin dal titolo l’autrice strizza l’occhio a una supposta sensibilità femminile che, grazie a Dio, è più complessa ed esigente. Questo quadretto rosa che l’autrice confeziona per blandire un pubblico di lettrici è nel complesso melenso e poco veritiero.
Mariangela

Mariangela

Maria Teresa ha detto...

Grazie Mariangela per il tuo interessantissimo contributo.